Una parte del vangelo di Luca mi ha sempre affascinata e allo stesso tempo spaventata molto, forse perché in realtà non sono mai riuscita a capirla nel suo significato profondo o forse perché la sua semplicità non lascia margini interpretativi sulle necessarie conseguenze. “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Questa frase ha accompagnato il mio campo Norcia-Assisi, il mio campo vocazionale e il primo campo da educatrice, per non parlare delle innumerevoli due-giorni, ritiri e incontri del gruppo in cui spesso salta fuori questo passaggio… coincidenze?

“E tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono”, un Vangelo che riguarda proprio ognuno di noi. Certo, sicuramente ognuno lo leggerà in base alla propria vocazione: in cosa mi sento chiamato? Per quale tipo di “pesca” devo lasciare quello che ho sempre fatto e che credevo essere l’unica cosa che ero in grado di fare?

Vorrei cercare di raccontare come hanno agito su di me, sulla mia esperienza.

Io non avrei mai avuto il coraggio di Simon-Pietro e degli altri apostoli, di lasciare tutto quello per cui ho lavorato per una vita, tutto ciò che mi dava sicurezze certezze e serenità. Tuttora non so se, nel momento in cui il Signore mi chiedesse di fare un salto del genere, sarei in grado di farlo.

Resta il fatto che le volte in cui qualcuno mi ha chiamata e io ho risposto di sì non me ne sono (ancora) pentita. Quando avevo 14 anni la mia vicina di casa un sabato pomeriggio ha suonato il mio campanello sapendo di trovarmi con non molto da fare e mi ha invitata ad aiutarla con la sua classe di catechismo, composta da bambini definiti da lei “ingestibili”. Quattro anni dopo questi bambini hanno fatto la cresima e un amico mi ha invitata a seguirli ancora in un cammino molto più lungo e complicato quello dell’adolescenza.

A Santa Rita il sabato pomeriggio, nel “dopo cresima”, ci troviamo con i ragazzi (divisi per fasce d’età) e cerchiamo di porci domande sulla realtà in cui viviamo e su come la viviamo, domande a cui proviamo a rispondere insieme. Ovviamente il tiro viene adattato in base all’età dei protagonisti.

Più sono piccoli più cerchiamo di rispondere alle esigenze di conoscenza attraverso il gioco, il metodo più immediato e semplice che abbiamo a disposizione. Crescendo le domande e le richieste diventano più elaborate e anche per noi è sempre più difficile costruire quel ponte di collegamento capace di toccare le corde scoperte dei cuori e comunicare quello che ci sembra possa rispondere alla richiesta di senso tanto necessaria nelle loro vite. La poca differenza di età tra noi educatori e i ragazzi credo sia un punto di forza: il modo di comunicare, capirsi e anche di discutere non è del tutto estraneo per noi perché “ci siamo passati da poco”.

Ho imparato questo. Quando qualcuno viene a bussare alla nostra porta per proporci qualcosa che altrimenti da soli non avremmo mai fatto il minimo che possiamo fare è provarci. Provarci per coloro che non hanno avuto questa fortuna, di avere una mano tesa. Provarci perché ogni lasciata è persa. Provarci perché tanto non si ha nulla da perdere. Provarci anche se non siamo bravi a pescare (e l’idea di un uomo attaccato ad un amo ci fa sia ridere che rabbrividire), perché questa pesca potrebbe sorprenderci.

Gli apostoli di Gesù lasciano tutto. Noi non stiamo chiedendo questo. Quello che credo possa aiutarci però è lasciare tutte le nostre paure, le nostre insicurezze, le nostre arrabbiature, le invidie, le delusioni e i rimpianti. Perché qualsiasi viaggiatore, anche i meno esperti, sanno che conviene viaggiare leggeri quando si comincia una strada lunga. Non servono tutte queste cose perché se ci portiamo uno zaino di rabbia o di rancore non arriveremo mai alla cima, alla meta, qualsiasi essa sia. Quindi il mio personale invito è accettare di cominciare questo viaggio insieme.

Noi educatori non siamo certamente perfetti e anche i nostri zaini sono pieni di cose inutili ma possiamo camminare insieme e disfarci di quello che non ci serve sul sentiero. Quando si forma un bel gruppo, un gruppo di persone vere, ti rendi conto che valeva la pena lasciarsi dietro le zavorre, accettare l’invito di un amico, di un fratello, dei genitori o di una figura mitologica che potrebbe essere il parroco.

Per concludere non posso che invitarvi a farlo, questo viaggio nel “dopo-cresima”, e dirvi che quando si arriva in cima, insieme, la vista è bellissima.

Federica Stagni