Natale è tempo di annunci, di offerte, di occasioni… e anche la Parola di Dio ha delle offerte e degli annunci da fare.

Secondo il profeta Isaia un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (11,1-9): una certezza, qualcosa sta per nascere, per spuntare… da Iesse il padre di Davide. Da Davide a Gesù ci sono circa 1.000 anni, un tempo che ci dà la dimensione dell’attesa.

La venuta del germoglio lascia tempo, tempo per accorgerci che qualcosa è spuntato, fragile come un germoglio, indifeso, ma dalla cui debolezza dipende tutta la vita che continua e ri-comincia con una forza di novità.

Il germoglio non giudicherà secondo le apparenze, colui che viene ha la capacità di entrar dentro le cose e dentro la vita e di capirle non come uno spettatore, ma come uno che ci è passato fino dalle radici, fino dal midollo, giudicherà come uno che le ha vissute sulla sua pelle… quello che arriva conosce la vita da dentro.

Quello che viene è sbilanciato, decisamente preferisce i poveri e i miseri, sta dalla loro parte, la sua giustizia è la preferenza del povero, vestirà di giustizia e fedeltà. La sua presenza permetterà che succedano cose strane: il lupo insieme all’agnello, la pantera e il capretto, il vitello e il leoncello. Tutto ciò che è vissuto, non solo come contraddizione, ma anche come minaccia, potrà stare fianco a fianco, senza più ne vinti né vincitori, né forti, né deboli… un’immagine da sogno, vivere accanto a ciò che ci spaventa, a ciò che abbiamo sentito come un pericolo da evitare o come una preda da dominare.

Chi guida tutto questo, chi fa la guardia, chi garantisce la sicurezza? Un bambino. Il tempo che si apre è il tempo dell’autonomia, un tempo dove non è la paura a governare, non si agisce per paura della punizione. La Parola di Dio dice che basterà un bambino per poter accogliere che le contraddizioni della nostra vita siano l’una a fianco dell’altra… sapendo che il leone resterà leone, che il lupo resterà lupo, che l’agnello resterà agnello, senza bisogno di travestirsi o di nascondersi, senza cercare di ignorare l’altro, senza far finta che non esista. Non sarà necessario cercare di essere qualcosa d’altro per avere il diritto di esistere.

Un’ultima offerta del testo di Isaia: il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, metterà le mani nei covi di serpenti velenosi. Quello che sembra un’imprudenza è solo il segno di uno sguardo capace di leggere la realtà come buona, è la capacità di cogliere la bontà di ciò che è fuori da noi, uno sguardo che non giudica secondo le apparenze o per sentito dire, ma per esperienza. La radice di Iesse verrà cercata, forse non è così appariscente; c’è un movimento che porta verso ciò che è nascosto.

È il movimento di Simeone, raccontato dal Vangelo di Luca (2, 25-35). Un movimento che lo spinge non ad una affannosa ricerca, ma all’attesa.

Simeone è un uomo che ha raggiunto la pienezza e che ha uno strano modo di benedire.

Simeone coglie che la pienezza per lui è lasciare, lasciare quello che ha trovato, lasciare quel bambino che ha preso in braccio. Ci sono degli abbracci carichi di un ritrovarsi e ci sono degli abbracci carichi di un lasciarsi. Quello di Simeone è un abbraccio sulla soglia della partenza. Ma è proprio e solo la pienezza raggiunta che può cedere il passo al lasciare: occhi che vedono la pienezza preparata, non casuale, per tutti i popoli. Sono però pochi gli occhi che la sanno vedere, perché la pienezza è un bambino, la pienezza passa da ciò che è in crescita, da ciò che per definizione, manca di qualcosa, da ciò che ha tempo e prospettiva per crescere, un germoglio e un bambino. L’esperienza dell’incontro con Dio passa da ciò che in noi va verso il compimento, va verso la pienezza di crescita. Simeone non è un vecchietto sull’orlo della fossa, nonostante tutte le immagini lo ritraggano così, è un uomo che ha ricevuto una promessa e ci crede fermamente: non avrebbe visto la morte senza aver prima visto il messia. E ancora una volta è questione di sguardo: un bambino guarisce dalla il paura della morte, che possiamo guardare in faccia solo se prima abbiamo visto la salvezza.

Un uomo Simeone che benedice anche in modo strano: benedice confermando che una vita vissuta accogliendo il bambino fa saltar fuori tutta la contraddizione possibile, la rovina e la resurrezione. Non è possibile giocare la nostra vita credendo che ci sia rovina senza resurrezione o resurrezione senza esperienza di rovina.

In una società che prevede solo lupi mangiatori di agnelli, che per gestire le contraddizioni ci offre l’eliminazione della diversità, noi festeggiamo un bambino che non solo tiene insieme tutto questo, ma che diventa lui stesso segno dell’esplosione della contraddizione: Dio che sceglie di essere uomo.

Suor Francesca

(Brano tratto dal Ritiro a S.Rita del 29 novembre 2015)